Tuffiamoci in una tazzina di caffè
Il caffè non si limita ad essere una delle bevande più amate dagli italiani e l’elemento centrale della pausa dalle nostre attività quotidiane, ma può rappresentare un’esperienza sensoriale importante. Abbiamo intervistato la dott.ssa Fosca Vezzulli, una delle poche persone al mondo a possedere delle certificazioni di altissimo livello per la valutazione della qualità del caffè mediante analisi sensoriale, per cercare di comprendere fino in fondo il valore di una tazzina di caffè.
Da dove nasce questo profondo interesse per il caffè?
La mia passione per il caffè nasce da lontano, ancor prima di aver conseguito la laurea in Scienze e Tecnologie Alimentari presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, quando, in modo del tutto casuale, sono venuta in contatto con la torrefazione per cui ho lavorato durante gli ultimi due anni del mio percorso accademico. Grazie a questa esperienza ho scoperto di avere la passione per l’analisi sensoriale dei caffè e di essere incuriosita dalla produzione di questa materia prima.
Negli anni, ho conseguito due importanti certificazioni internazionali nel settore caffè, diventando Arabica Q Grader e certificandomi nel Q Processing – level2. Ho avuto modo di approfondire come i processi di preparazione del caffè verde, di tostatura e di estrazione impattino sulla composizione chimica e sulle peculiarità sensoriali delle diverse specie e varietà di caffè, arrivando a far diventare questo tema uno degli aspetti chiave del mio dottorato di ricerca, che sto conseguendo all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza.
Sono una tra le poche persone certificate, a livello nazionale ed internazionale, per la valutazione della qualità dei lotti di caffè Arabica candidati a diventare Specialty. Il caffè, soprattutto il caffè di alta qualità, è per me molto più di un prodotto alimentare, è una filosofia di vita, espressa a pieno nella mission della Specialty Coffee Association, con la quale collaboro anche in veste di giudice dei campioni italiani dedicati a baristi e operatori del nostro settore.
Che cos’è la filiera del caffè Specialty?
Per approfondire il tema dei caffè Specialty mi piace partire dalla definizione data dala Specialty Coffee Association, nel 2021, che li definisce come “a coffee or coffee experience recognized for its distinctive attributes, and because of these attributes, has significant extra value in the marketplace”. Questa esaustiva definizione fa riferimento ad una coffee experience che si basa su due pilastri fondamentali: da una parte la presenza di attributi distintivi del caffè e dall’altra di un valore di mercato superiore alla media.
Con questa definizione non ci si limita a definire la qualità puramente su base sensoriale, ma si considerano anche altri valori estrinseci alla materia prima. Dal mio punto di vista il valore più importante è quello del collegamento indissolubile tra i caffè e la loro origine, unica via – a mio avviso – per rendere la nostra filiera più sostenibile dal punto di vista sociale.
Pensi sia possibile parlare di sostenibilità sociale nella filiera produttiva del caffè?
Se l’acquisto del caffè verde da parte dei paesi consumatori avvenisse direttamente dalle cooperative produttrici in origine si pagherebbe un prezzo superiore, ma sicuramente più equo, e allo stesso tempo si potrebbe accorciare la catena di approvvigionamento; in aggiunta, chi produce questo caffè potrebbe avere un margine superiore e quindi modo di migliorare il proprio stile di vita e avere le risorse necessarie per formarsi ed innovare il proprio sistema produttivo al fine di renderlo più efficiente, performante ed anche sostenibile dal punto di vista sia ambientale che economico.
Dopo aver visitato, ad anni di distanza, piantagioni che hanno puntato sulla filiera Specialty, ho potuto osservare miglioramenti nei processi e nella conoscenza che i lavoratori hanno sulla trasformazione del caffè. Anche il tenore di vita delle comunità che gravitano intorno alla piantagione è tangibilmente progredito, grazie al miglioramento delle abitazioni, ad una maggior cura delle vie di comunicazione e all’installazione di fonti energetiche sostenibili come i pannelli fotovoltaici.
È possibile valorizzare gli scarti del caffè? Se sì, come?
Pensate che da 5 kg di frutti maturi e sani raccolti dalla pianta del caffè si può ottenere meno di 1 kg di caffè verde pronto per essere tostato e che, a seguito della tostatura, si produce ulteriore materiale di scarto, ottenendo alla fine circa 800 g di caffè consumabile.
La porzione maggiore di scarti è rappresentata da bucce e polpa del frutto del caffè che vengono separate in origine per poter estrarre i semi di nostro interesse. Da queste bucce, ricchissime in composti fenolici, fibra, zuccheri e caffeina, si possono estrarre molecole ad alto potere antiossidante e ad azione foto-protettiva utilizzabili per applicazione topica e per la produzione di integratori alimentari. In aggiunta, le bucce spesso vengono reimpiegate in loco come ammendante agricolo o per la produzione di compost. Da alcuni anni è inoltre possibile importare in Europa queste bucce disidratate, conosciute come “cascara”, ed utilizzarle nella preparazione di infusi.
Durante il processo di tostatura il seme del caffè verde si separa da una pellicola sottilissima, chiamata silverskin, che viene raccolta nella tostatrice. Questo sottile strato è molto versatile e riutilizzabile in quanto ricchissimo in fibra, minerali e composti bioattivi. È possibile estrarne alcuni composti utilizzabili in cosmesi, impiegando la fibra nelle diete animali, utilizzandola in bioreattori per la produzione di biogas oppure realizzando biopolimeri plastici e di carta, che renderebbero inferiore la quota di cellulosa vergine necessaria.
Infine, l’ultimo scarto che può essere riutilizzato è il caffè tostato, macinato e già utilizzato (estratto) per produrre la bevanda. Su questo sottoprodotto la ricerca si è davvero sbizzarrita ed ora sappiamo che è efficace come concime per piante acidofile, buon substrato per la coltivazione di funghi e lieviti, utile come materia inseribile in prodotti di bio-plastica e anche come ingrediente aggiuntivo per la produzione di pasta secca.
Redatto da: Margherita Dall’Asta
Ricercatrice in Nutrizione Umana
Facoltà di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali
Università Cattolica del Sacro Cuore